Alexander Lonquich direttore e pianista con la Cherubini

domenica, 13 Luglio 2008

Ancora un ultimo concerto per l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini che, dopo il successo della serata dedicata ai songs di Cole Porter, conclude la residenza al Festival 2008 tornando ad esibirsi, domenica 13 luglio (Teatro Alighieri alle ore 21), sotto la direzione di una delle figure oggi più originali ed interessanti della scena musicale internazionale: Alexander Lonquich, nella doppia veste di direttore e di pianista.

Nel segno della grande tradizione classica il programma che prevede il Primo Concerto in do maggiore per pianoforte e orchestra op. 15 di Ludwig van Beethoven, l’Introduzione e Allegra da concerto in re per pianoforte e orchestra op. 134 di Robert Schumann e la Quarta Sinfonia in do minore D 417 “Tragica” di Franz Schubert.

Il concerto è reso possibile grazie al prezioso contributo di Assicurazioni Generali e La Venezia Assicurazioni.

Segno distintivo dello stile di Lonquich, oltre alla capacità di unire passione e stile ad una straordinaria tecnica, è certamente l’attenzione con cui ricerca il dialogo diretto con il pubblico. Dialogo che nasce dall’urgenza di restituire spessore emotivo a repertori troppo spesso ascoltati, e che si esprime nell’attenzione verso ciò che lega la musica all’intero universo artistico (al teatro, alla letteratura, alle arti visive), come nell’assiduità dell’impegno didattico. Per questo artista tedesco che ha scelto di vivere in Italia e che qui si è rivelato per la prima volta al grande pubblico (nel 1977, come vincitore del concorso Casagrande), era dunque inevitabile l’incontro con i giovani musicisti della “Cherubini”, come inevitabile era la scelta di rileggere insieme, con rinnovata curiosità, pagine del grande repertorio classico. Dunque, Beethoven, Schubert e Schumann.

Il Concerto op. 15 del grande di Bonn, rientra tra le prime opere composte nei primi anni viennesi (nel 1800) e, seppure legato ancora a un’idea di concerto solistico come genere minore, destinato all’ostentazioni delle doti di virtuoso del solista (era lo stesso Beethoven ad eseguire i propri concerti pianistici, prima di destinarli alla pubblicazione), rivela un profondo ripensamento del rapporto tra solista e orchestra: non più un pacifico dialogo ma una conflittuale opposizione che, in questo caso, sfocia nel vigore e nello slancio di una scrittura pianistica dai tratti quasi improvvisativi. Una concezione nuova che non poté non influenzare tutta la generazione successiva e quindi Schumann: l’Introduzione e Allegro op. 134, dedicato a Brahms e donato alla moglie Clara come regalo di compleanno (nel 1853) si caratterizza per il predominio assoluto del solista, cui l’orchestra risponde con brevi ritornelli contrastanti.
Ma lo spirito di Beethoven incombe anche su tutta la produzione di Schubert, in particolare su quella sinfonica che riesce a prendere forma compiuta solo dopo molti tentativi ed abbozzi: la Quarta Sinfonia, denominata “Tragica” dallo stesso autore per il pathos di irrequieta ansietà che la pervade, tra le pagine sinfoniche dei primi anni (è del 1816) è certamente la più perfetta.