All’Alighieri il Demofoonte di Nicolò Jommelli diretto da Riccardo Muti
Demofoonte di Niccolò Jommelli è il titolo scelto da Riccardo Muti per il terzo anno del progetto dedicato alla riscoperta della grande scuola napoletana del Settecento che vede affiancati come coproduttori il Ravenna Festival, il Festival di Pentecoste di Salisburgo e da quest’anno l’Opéra national de Paris. Riccardo Muti guiderà ancora una volta l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e un cast di giovani interpreti. La regia è di Cesare Lievi, affiancato da Margherita Palli per le scene, Marina Luxardo che firma i costumi e Luigi SaccDemofoonte di Niccolò Jommelli, ultima replica oggi al Teatro Alighieri alle 20.30, è il titolo scelto da Riccardo Muti per il terzo anno del progetto dedicato alla riscoperta della grande scuola napoletana del Settecento che vede affiancati come coproduttori il Ravenna Festival, il Festival di Pentecoste di Salisburgo e da quest’anno l’Opéra national de Paris.omandi alle luci.
Dopo due edizioni dedicate all’opera buffa con le opere di Cimarosa, Il ritorno di Don Calandrino, e di Paisiello, Il matrimonio inaspettato, la scelta è caduta su Demofoonte, un’opera seria e un titolo fra i più celebrati del ‘700. La popolarità del libretto, scritto da Metastasio per la corte imperiale di Vienna nel 1733, è attestata dall’incredibile numero di versioni musicali; se ne contano almeno 73 di diversi compositori fra i quali Gluck, Galuppi, Hasse, Paisiello, Piccinni, Cimarosa e, probabilmente, Vivaldi. Il celebre storico della musica Charles Burney, che, nel suo viaggio in Italia, assistette alla rappresentazione del Demofoonte di Jommelli a Napoli, scrisse a proposito del compositore napoletano: «Jomelli’s works are full of great and noble ideas». L’attenzione che lo stesso Mozart prestò a questo titolo, musicandone 5 arie da concerto, è un’ulteriore conferma della notorietà e dell’interesse riscossi all’epoca.
Jommelli, uno dei massimi maestri di scuola napoletana, nativo di Aversa e molto attivo in Europa, ne scrisse ben 4 diverse versioni. Quella riproposta all’Alighieri – il teatro che ne ha ospitato le prime prove e in cui torna dopo esser stata apprezzata a Salisburgo, al Festival di Pentecoste, e successivamente all’Opéra National de Paris – è la quarta, rappresentata al San Carlo di Napoli il 4 novembre 1770, città dove Jommelli tornò dopo una vita passata nei più celebri teatri d’Europa, in particolare al servizio del duca Carlo Eugenio di Württemberg alla testa di una troupe vocale di all stars e di un’orchestra tra le più importanti dell’epoca (tanto da rivaleggiare coi celebri Mannheimer).
In quello che può essere considerato l’annus mirabilis del compositore, universalmente osannato dai contemporanei come un monumento musicale vivente e come uno dei modelli della cosiddetta “scuola napoletana”, Jommelli mette in musica per la quarta volta il Demofoonte: un dramma per musica a tinte forti incentrato sulle vicende dei coniugi Dircea e Timante che ruotano attorno a un cruento e misterioso sacrificio umano, un presunto incesto, un incredibile scambio di neonati. Accanto alle vicende della coppia principale, il classico conflitto tra amore (paterno) e dovere che affligge il sovrano Demofoonte, diviso tra l’affetto per il presunto figlio Timante e il dovere che lo sprona a condannarlo assieme alla sposa segreta Dircea.
«Demofoonte, tre ore di musica sublime che ha il suo punto di forza nelle arie e nei recitativi accompagnati che conducono il complicato intreccio drammaturgico all’inaspettato, ma per quei tempi convenzionale, lieto fine – sottolinea Riccardo Muti – è un’opera molto complessa dal punto di vista della struttura; senza coro, ma con moltissime arie di grande espressività, lunghe e precedute da eloquenti introduzioni orchestrali, testimonianza di una scrittura elaborata, colta e intellettuale; mentre le parti vocali sono molto ardue e sottopongono i cantanti a prove di grande virtuosismo: ci troviamo infatti nel periodo aureo dei castrati di cui Napoli era la fucina più importante».
La regia è firmata da Cesare Lievi, che ha già collaborato con Muti ne I due Foscari al Teatro alla Scala. «Nella storia della letteratura italiana, a Metastasio è riservata una posizione singolare. Le sue opere – spiega il regista – vengono scarsamente considerate, ma la sua lingua è chiara, limpida; la sua struttura drammatica è robusta e non manca di grande capacità nel delineare figure e conflitti. Ed è su questo che ho puntato, e non solo: in Demofoonte alcuni personaggi hanno una psicologia modernissima e primo fra tutti Timante che è il vero protagonista dell’opera. Lui sente. E agisce di conseguenza. Non importa se la realtà si scontra con il suo sentire. Si butta a capo fitto nella vita».
Le scene sono della pluripremiata (Ubu, Abbiati, ETI…) Margherita Palli da molti anni figura di riferimento per le più prestigiose produzioni di teatro d’opera: già collaboratrice di Luca Ronconi, Liliana Cavani, Franco Branciaroli, per Cesare Lievi ha curato le scenografie di Donna Rosita nubile di Lorca, Manon e Giulio Cesare.
Le voci coinvolte nell’opera, secondo le classiche convenzioni settecentesche, sono per lo più femminili: accanto al sopranista Valer Barna-Sabadus (Adrastro) e al contraltista Antonio Giovannini (Matusio), si muovono sul palcoscenico i soprani Maria Grazia Schiavo (Dircea), Josè Maria Lo Monaco (Timante), Eleonora Buratto (Creusa) e Valentina Coladonato (Cherinto), oltre naturalmente al tenore Dimitri Korchak nei panni del protagonista Demofoonte.
Nella recita di martedì 7 luglio gli interpreti saranno: Mario Zeffiri (Demofoonte), Barbara Bargnesi (Dircea), Giacinta Nicotra (Timante), Nicola Marchesini (Matusio), Auxiliadora Toledano (Creusa), Irini Kirakidou (Cherinto) e Pamela Lucciardini (Adrasto).
Il ruolo determinante del basso continuo nell’accompagnamento dei recitativi è affidato alla clavicembalista Speranza Scappucci.